La produzione di patata con metodo biologico è normata dal Reg. CE n. 889/2008 che trova disposizione tecniche attuative nel D.M. Mipaaf n. 18354/2009. Il produttore è obbligato a piantare tubero seme certificato, ottenute con le tecniche di agricoltura biologica. Esiste tuttavia la possibilità di chiedere autorizzazione, in deroga, all’utilizzo del tubero seme convenzionale qualora quello biologico della cultivar che si intende utilizzare non sia rinvendibile nella disponibilità dell’apposita banca dati gestita dall’ENSE, Ente Nazionale Sementi Elette. Le regioni leader in questa produzione sono, in ordine di importanza, Sicilia ed Emilia Romagna, la resa media è superiore ai 20 t/ha, livello produttivo assolutamente inadeguato, che rende estremamente critico il conto economico della coltura per il pataticoltore. Il lento aumento degli investimenti, rispetto ad altre colture, è da ricondurre a una serie di cause, tra le quali si possono indicare in primis la mancanza di cultivar specificamente adatte a questo metodo di coltivazione, con particolare riferimento alla risposta verso temibili patogeni quali peronospora e alternariosi, che sono fortemente limitati nei confronti della produttività considerando che il loro controllo, con i fungicidi disponibili in agricoltura biologica, è spesso difficile.

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La cultivar ideale adatta alla produzione in biologico deve integrare in un unico genotipo, ossia che possieda anche adeguati standard merceologici:

  • I caratteri che conferiscono alla pianta di tollerare gli stress, abiotici e biotici, dominanti nell’ambiente di coltivazione in cui si sviluppa,
  • Una maggior efficienza dell’azoto (NUE Nitrogen Use Efficiency) poiché, essendo questo macroelemento non disponibile nel suolo nelle forme convenzionalmente utilizzate, (in assenza di concimi di sintesi, banditi dal regime biologico, esso è ottenuto principalmente dalla sostanza organica), lo stesso timing di assorbimento potrebbe essere non perfettamente allineato con le esigenze fenologiche della pianta.

Con riguardo agli stress di natura biotica, vi sono diverse avversità molto temibili per la patata quando questa non può fruire della protezione degli agro farmaci di sintesi:
 

  • Peronospora della patata (Phytophtora infestans), l’avversità fungina che suscita le maggior preoccupazioni nella produzione biologica, anche in considerazioni della progressiva diminuzione dei quantitativi di rame che si possono utilizzare per il suo controllo, 6 kg/ha/anno, come da norme contenute nel Reg. CE n. 889/2008. I genotipi più sensibili, in presenza delle condizioni microclimatiche innescanti l’infezione, possono arrivare nel giro di poche ore alla completa distruzione della parte aerea, con risvolti molto seri sull’esito produttivo e qualitativo finale. Sempre con riferimento alla peronospora, altro aspetto importante in pataticoltura è la correlazione ben conosciuta tra indice di maturazione e sensibilità alla peronospora, nel senso che le cultivar più precoci sono in generale più sensibili; infatti, uno dei problemi maggiori per la coltivazione biologica è che attualmente non esistono cv. Precoci, di buon valore agronomico e sufficientemente tolleranti, che possano essere curate con bassi dosaggi di rame.
  • Alternariosi (Alternaria solani), avversità fungina che in Italia sembra essere più insidiosa della stessa peronospora, soprattutto le cultivar tardive, considerando che, in assenza di cultivar resistenti e con pochi fungicidi autorizzati in agricoltura biologica, il controllo è scarso e l’unico elemento valido sembra essere la scelta di genotipi meno sensibili alla malattia.
  • Dorifora (Leptinotarsa decemlineata), il fitofago defogliatore più dannoso della patata. In agricoltura biologica il controllo è impiegato sull’utilizzo di alcune varietà resistenti e ceppi di Bacillus thuringiensis, molto efficaci specialmente sulle larve di prima e seconda età, nonché formulati a base di piretrine e spinosad.
  • Tignola (Phtorimaea operculella), lepidottero minatore di foglie e tuberi in campo e nei magazzini di conservazione. Fino a pochi anni fa preoccupante solo in Sud Italia, attualmente è diventato un fitofago- chiave anche negli areali produttivi del Nord Italia, imponendo un serio lavoro di monitoraggio dei voli con trappole a feromoni sessuali al fine di impostare al meglio le strategie di difesa. Buono il controllo esercitato da Bt e spinosad.
  • Elateridi (Agriotes spp.), coleotteri polifagi ad ampia diffusione le cui larve erodono tuberi e radici, provocando danni merceologici molto seri. L’impossibilità di usare geodisinfestanti di sintesi impone un attenta valutazione delle precessioni colturali più predisponenti al loro proliferare, quali prati poliennali di graminacee, medicai, doppie colture (es. cereali vernini-loiessa, loiessa-mais, loiessa-soia), nonché una specifica attività di monitoraggio a mezzo trappola a esca alimentare, o a feromoni sessuali.
  • Nematodi cisticoli (Globodera spp.), molto aggressivi sulla patata in diverse regioni italiane. Anche i nematodi galligeni (Melodogyne spp.) risultano molto pericolosi, in particolare per le colture a semina estiva (bisestili). La scelta di adeguati avvicendamenti colturali è efficace per la lotta ai nematodi cisticoli avendo una ristretta gamma di piante ospiti; per esempio, di recente in alcune aree del Nord Europa è inserita nella rotazione, una specifica solanaeca (Solanum sisymbriifolium), avente azione di pianta trappola (catch crop). Più complesso è il controllo dei nematodi galligeni che invece proliferano su moltissime specie di piante coltivate e spontanee.

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 Sia nel caso degli elateridi che dei nematodi fitoparassiti, l’inserimento nella rotazione di sovesci di alcuni genotipi di piante brassicacee appositamente selezionate come pianta trappola, ad esempio la rucola, o come piante ad azione fumigante come la senape indiana (Brassica juncea), nonché l’uso di formulati secchi (pellet o sfarinati) a base di farine disoleate, garantiscono un buon livello di contenimento esercitato dall’azione biocida di alcuni di alcuni metaboliti secondari, ad esempio gli isotiocianati, rilasciati nel terreno a seguito dell’idrolisi, catalizzata dall’enzima tirosinasi, dei glucosinolati contenuti negli organi vegetativi e riproduttivi. L’uso di piante ad azione fumigante può consentire, nel corso degli anni, importanti ricadute sulla gestione e sul miglioramento della qualità nei suoli, attraverso il riequilibro tra microflora patogena e non e, più in generale, del sistema suolo. In quest’ottica sono documentati a livello internazionale effetti positivi non solo del contenimento di nematodi fitoparassiti, malattie telluriche e coleotteri elateridi, ma anche tutti i noti benefici fisici, chimici e biologici derivati dall’uso di sovesci. In particolare è interessante evidenziare che gli apporti fertilizzanti di un buon sovescio biocida possono rappresentare in molti casi la concimazione di fondo della coltura che segue in rotazione e la patata ne benefica sicuramente. Inoltre, è da ricordare che l’apporto di considerevoli quantità di sostanza organica al terreno consente un azione di sequestro e immagazzinamento dell’anidride carbonica atmosferica che, in considerazione della gravità degli effetti dei cambiamenti climatici a livello planetario, rappresenta una prospettiva di grande importanza per l’intero sistema agricolo.

La varietà di patata adatta alla coltivazione in agricoltura biologica deve quindi possedere rese stabili ed elevate, alta efficienza nell’uso di macro e microelementi, quindi maggior attitudine complessiva alla produzione in condizioni di ridotti input energetici. Inoltre, altro tratto di interesse agronomico è la velocità di sviluppo dell’apparato fogliare per consentire:

  • una più celere copertura del terreno sottostante per i benefici legati alla riduzione dell’evaporazione dell’umidità in essa contenuta
  • una maggiore competizione con le malerbe infestanti
  • una maggiore protezione dai danni delle infezioni di peronospora, giacchè per i genotipi che producono in tempi più brevi e ipotizzabile, in caso di infezioni gravi, la trinciatura della parte aerea, per evitare danni ai tuberi se questi già sono di calibro commerciale.

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Fonte: La Patata, Coltura e Cultura di Renzo Anelini, pag. 460-463
Autore: Bruno Parisi