Oggi sappiamo che esistono centinaia di varietà di patate, o prodotti simili nell’uso e nel gusto, nella regione andina. E’ verosimile che, dopo la scoperta del nuovo mondo, non tutte le varietà siano arrivate in Europa o che solo alcune siano state apprezzate e poi coltivate. Molte di esse, quindi, sono andate perdute, ma alcune di esse tuttavia, presentano delle peculiarità tali da renderle meritevoli di essere sulle nostre tavole, come la manioca, l’oca, l’olluco, la mashua, lo yacòn, la maca, la batata e l’arracacha. Mentre nel continente europeo i nostri antenati consumavano dei cibi molto simile alla patata, oggi perse, tra cui la taro e la pastinaca.
La manioca (Manihot esculenta), detto anche albero delle patate dolci o yuca, non è una patata ma è una pianta appartenente alla famiglia delle Euphorbiaceae originaria del Sud America settentrionale e dell’America centrale, dove viene coltivata da migliaia di anni. Verso il seicento si diffonde in tutta l’Africa grazie ai navigatori portoghesi diventano una delle più importante fonte di carboidrati nei paesi tropicali. Per la facilità con cui viene coltivata e per il suo apporto nutrizionale, gli spagnoli l’adottarono ben presto, perpetuando così il suo uso fino ai nostri giorni. La sua adattabilità a svariati ambienti, anche estremamente sfavorevoli, unità alla tolleranza a lunghi periodi di siccità, la rende una delle colture di maggior impiego nei agro ecosistemi delle regioni tropicali e subtropicali. Ha una resa per ettaro di oltre 30 tonnellate e si utilizzano le radici tuberizzate fusiformi, che si raggruppano alla base della pianta e possono pesare fino a 2-3 kg. La polpa è dura e la scorza è ruvida e marrone. La radice è ricca di amido, il doppio della patata, ma è povera in zuccheri semplici. Contiene un glucoside cianogenico che ingerito e decomposto da enzimi e dalla flora intestinale produce acido cianidrico. Questa sostanza risulta velenosa e può determinare un avvelenamento acuto da cianuro o fenomeni di tossicità cronica. Solitamente tale sostanza si localizza nella parte esterna della radice, la tecnica tradizionale africana per rimuoverla dalla radice consiste nel pelarla, tenerla immersa in acqua a fermentare per tre giorni e poi essiccarla o cuocerla. Può essere cucinata in grande quantità di modi, bollita, purè, al forno, fritta. La manioca può anche essere pestata per ottenere una fecola o farina insapore, nota come tapioca, che viene usata come la farina dei cereali. Dalla polpa della radice di manioca, schiacciata e fatta fermentare, si possono ottenere anche bevande alcoliche. In molti paesi, gli scarti sono usati come foraggio per gli animali da allevamento. Colture come la manioca potrebbero costituire il futuro della sicurezza alimentare nelle regioni più povere.

Manioc from Hainan, China.
L’oca (Oxalis tuberosa) non è anche essa una patata ma una pianta erbacea, perenne, appartenente alla famiglia delle Oxalidaceae. Rappresenta uno dei raccolti più importanti degli altopiani andini, seconda soltanto alla patata. Viene coltivata ad un altitudine compresa tra i 3000-3900 m s.l.m e la sua radice è commestibile. Diversamente dalle patate, anche le foglie e i giovani germogli sono commestibili come verdura fresca. Il suo successo deriva dall’agevole conservazione dei tuberi, dalla notevole tolleranza ai suoli poveri e al clima difficile nonché dalla facilità di propagazione. Ne esiste una grande varietà con tuberi diversa di forma e colore. Arrivò in Europa più tardi delle altre, nel 1830, come competitore della patata ma non trova le condizioni adatte per la coltivazione, mentre in Nuova Zelanda diviene popolare. Il sapore del tubero è un po’ piccante e acidulo per l’elevato contenuto in ossalati, derivati dall’acido ossalico, che conferiscono la tipica nota acidula anche alle foglie. Può essere bollita, arrostita, fritta o mangiata in insalata.

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L’olluco (Ullucus tuberosus), è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Basellaceae, rampicante, di discrete dimensioni, raggiunge una lunghezza di due o tre metri. I tuberi sono cucinabili come le patate ma, diversamente da quest’ultime, anche le foglie cuoriformi sono commestibili se cotte come gli spinaci. Dopo la patata e l’oca, l’olluco è il tubero più coltivato nelle Ande e nelle zone tropicali ed equatoriali fresche del Centro America. La sua importanza economica in tali zone è notevole. Presenta la caratteristica di una polpa che rimane compatta e croccante anche dopo cotture prolungate.

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La mashua (Tropaeolum tubersum), è una pianta indigena coltivata in Perù che assomiglia all’oca e appartiene alla famiglia delle Tropaeolaceae. Coltivata fin all’antichità, i suoi tuberi sono stati trovati in siti archeologici preincaici ma la data esatta della domesticazione non è nota, stimata attorno a 5500 a.C. E’ molto facile da coltivare, resistente al gelo e ai parassiti e per questo motivo e spesso associata alle patate e ad altre colture. La pianta cresce vigorosamente, anche ad alta quota, e la sua fioritura da metà estate a fine autunno regala colori intensi. Il suo tubero commestibile rappresenta una rilevante fonte cibo, al quarto posto per importanza nella regione andina. Se mangiata cruda, ha sapore piccante, simile ai ravanelli, che scompare da cotta. Ha un alta resa per ettaro ma la sua diffusione è limitata dal forte sapore e dalla sua reputazione di antiafrodisiaco. Il tubero secco contiene tutti gli amminoacidi essenziali, alti livelli di acido ascorbico e beta-carotene. La mashua, per la resistenza ai parassiti, l’alto rendimento produttivo, il contenuto di nutrienti e la facilità di coltivazione, può divenire un alimento diffuso in tutto il mondo.

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Lo yacòn (Smallanthus sonchifolius) invece, è una pianta appartenente alla famiglia delle Asteraceae, affine al girasole e al topinambur, coltivata in Perù, con radici appena sotto la superficie del suolo e tuberi grandi e commestibili, croccanti e dal sapore dolciastro. Questi tuberi contengono inulina, uno zucchero non assimilabile, quindi anche se hanno un sapore dolce, contengono meno calorie di quanto ci si aspetterebbe. Lo yacòn cresce bene in Australia e Nuova Zelanda, di recente è stato introdotto anche nelle Filippine. Dalle foglie, che contengono vari tipi di acidi organici, si ottiene lo sciroppo e il tè, entrambi diffusi tra i diabetici e le persone che intendono dimagrire perché contengono una forma di zucchero, chiamato fructooligosaccharide, un particolare tipo di fruttosio che non viene assorbito e inoltre rafforza il sistema immunitario e aiuta la digestione.

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La maca (Lepidium meyenii) è una pianta biennale o annuale, appartenente alla famiglia delle Brassicaceae, nativa della Bolivia e Perù, coltivata a oltre 4000 m di quota in climi freddi, per la sua radice carnosa, simile per crescita, dimensioni e proporzioni al ravanello e alla rapa. Le coltivazioni sono quasi sempre biologiche, perché a tali quote non vi sono parassiti che la possono attaccare. La maca può essere di vari colori dal crema fino a nero, con gusti differenti dal dolce all’amaro. Per circa 2000 anni la maca è stata un alimento importante e tradizionale, altamente nutriente, utilizzato anche come farmaco per migliorare la forza e resistenza. Oltre a zuccheri e proteine, la maca contiene uridina, acido malico ed è ricca di minerali essenziali. I suoi effetti benefici per la funzione sessuale, potrebbero essere dovuti all’alta concentrazione di proteine e nutrienti vitali, in particolare di un isotiocianato che avrebbe proprietà afrodisiache. Può essere arrostita, cucinata come purè o bollita, se lasciata fermentare se ne può ricavare una debole birra. Diversamente dalle patate, anche le foglie possono essere mangiate in insalata.

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La patata dolce (Ipomoea batatas), detta anche patata americana o semplicemente batata, non è una patata perché non appartiene alla famiglia delle Solanaceae ma a quella delle Convolvulaceae. Originaria dell’America centrale, oggi è diffusa quasi esclusivamente in Asia, dove occupa una superficie di più di 10 milioni di ettari. Condivide quindi con la patata il luogo di origine, ma l’iniziale diffidenza nei suoi confronti ne rallentò l’impiego per oltre due secoli. In Italia giunge nei primi decenni del seicento ma la sua coltivazione comincia solo verso la fine dell’ottocento. La pianta può raggiungere anche tre metri di lunghezza, con foglie a forma di cuore o imputo e fiori bianchi, rosa, viola e rossastri. Richiede elevate temperature ed elevati fabbisogni idrici. La produzione ad ettaro varia tra le 20-30 tonnellate di tuberi. Di questo vegetale si consuma il tubero, in modo simile alla normale patata, ma esso ha un sapore più dolce, e per questo motivo viene anche usato anche in preparazione dolciarie. La buccia e color rossastra e polpa farinosa di colore bianco o giallo fino al rosa. Oltre che per il consumo diretto del tubero, la patata americana viene utilizzata per la produzione di fecola, prodotti agrodolci e alcol.

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L’arracacha (Arracacia xanthorrhiza), fa parte della famiglia delle Apiaceae, come le carote, il sedano e la pastinaca. Originaria delle Ande, è oggi diffusa e coltivata in tutto il Sudamerica, tra i 600-3200 m di altitudine, specie in Colombia e Brasile, principali produttori mondiali. La sua radice, che assomiglia ad una carota, di colore giallo, viola o bianco, è molto apprezzata per il suo alto contenuto di calcio, quattro volte più della patata, di pigmenti precursori della vitamina A e per l’amido dai granuli molto piccoli, facilmente digeribile, ottimo per neonati e bambini. Non può essere mangiata cruda ma bollita e si impiega in modo simile alle patate, come pure, gnocchi, fritture, biscotti e farina. Le foglie, somiglianti al prezzemolo, variano dal verde al viola e sono utilizzate come foraggio per animali.

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La taro è il nome volgare della pianta (Colocasia esculenta), appartenente alla famiglia delle Araceae, oggi spesso coltivata come pianta ornamentale. Originaria dell’Indonesia, si diffonde in India e poi in Egitto già cinque secoli prima di Cristo. Da qui i Romani la importarono e la utilizzarono allo stesso modo che sarà adottato secoli dopo per la patata. L’uso del taro gradualmente scompare in Europa dopo la caduta dell’impero romano ma è ancora oggi un ingrediente base in Sudamerica, Africa e Asia dove, per secoli, ha rappresentato una pianta essenziale per la dieta degli indigeni. Ha tuberi simili alla patata ed è comunemente coltivata per ricavare dai rizomi farina e amido con granuli di dimensioni dieci volte inferiori a quelli dell’amido di patata, perciò più digeribile. Si prepara bollita, schiacciata, in umido. Può anche essere fritta e soprattutto rimangono croccanti più a lungo. E’ ricca di proteine vegetali, vitamine del gruppo B e potassio, è dotata di una quantità di calcio più elevata di calcio, indicata quindi nelle diete di chi è affetto da carenze di questo elemento, e presenta un quantitativo doppio di ferro, ma assai meno di vitamina C. Cruda è tossica ed è bene non toccarsi gli occhi dopo averla maneggiata, perché irritante.

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Per concludere troviamo la pastinaca (Pastinaca sativa), che anch’essa appartiene alla famiglia delle Apiacea, come l’arracacha, coltivata come annuale che fiorisce nel periodo luglio-agosto, con una lunga radice, di colore bianco, carnosa e dal sapore acidulo. Come le carote è originaria dall’Eurasia Viene apprezzata dai romani, che la diffondono in tutto il loro impero fino al Nord Europa; in epoca più recente saranno i coloni inglesi a introdurla nel Nord America. La coltivazione si è molto ridotta nell’ultimo secolo per la popolarità guadagnata della patata. La pastinaca è nota per le proprietà alimentari delle sue radici che gradevoli al palato, hanno inoltre un valore dietetico abbastanza simile a quello della patata per il loro contenuto in zuccheri e amidi. Può essere bollita, arrostita, stufata o fritta. Alla radice vengono attribuite proprietà digestive e diuretiche, mentre le foglie, oltre che alla preparazione di frittate e tisane, sono utilizzate fresche come alimento per il bestiame.

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Fonte: La patata, Coltura e Cultura di R. Angelini pag. 294-307
Autore: Roberto Grassi